Cosa fare dopo una diagnosi di tumore

Ogni anno in Italia oltre 365mila persone si ammalano di tumore. Molte di loro guariscono o convivono per anni con la patologia e dopo le terapie tornano alla loro quotidianità lavorativa e familiare. Certo, dopo una diagnosi di cancro lo choc e la paura iniziali sono sempre presenti, ma muoversi fin da subito nella giusta direzione può aiutare a non creare ulteriore ansia e confusione, sia nel singolo malato che nella cerchia familiare. Inoltre, come è stato anche scientificamente dimostrato, una corretta informazione, insieme a un buon rapporto fra medico e paziente, può essere importante quanto una vera e propria medicina.

Fate un passo indietro

«È importante che dopo una diagnosi di cancro ci si prenda del tempo per metabolizzare la notizia – dice Luigi Grassi, presidente onorario della Società italiana di psiconcologia e direttore della Clinica Psichiatrica all’Università di Ferrara -. Spesso accade che malati e familiari si facciano travolgere dalla paura e si lascino muovere dalla fretta. Ma prendere decisioni in maniera impulsiva è negativo . È invece importante far trascorrere anche pochi giorni (se la situazione clinica richiede di agire nel breve periodo), durante i quali però si deve avere il tempo di informarsi sul tipo di tumore, sulle opzioni di cura disponibili e sui centri di cura più preparati, anche a fornire sostegno sul piano psicologico. Quanto più si sa e si comprende della propria malattia e di quello che ci attende, tanto maggiore è la forza che abbiamo per fare scelte consapevoli».

Create un gruppo di sostenitori

Un team di supporto, che sia in grado di offrire sostegno morale e pratico, può essere di cruciale importanza. Possono essere amici o parenti, purché li si senta vicini. «Diventano di importanza strategica – spiega Grassi – per gestire la quotidianità quando si complica, tra famiglia, ospedale, lavoro, burocrazia. Per essere accompagnati alle visite o anche solo per andare al supermercato a fare la spesa. Molto importante è che ci sia qualcuno con cui potersi confidare e aprirsi, lasciando trasparire le proprie emozioni. Tutto questo favorisce la sensazione di avere (almeno in parte) la situazione più sotto controllo e non ci si sente soli».

Scegliete attentamente i vostri medici

L’esperienza del centro a cui ci si affida è spesso di vitale importanza, come dimostrano recenti studi italiani sul tumore del pancreas. Tra i vari parametri da valutare ci sono l’abilità del chirurgo e la presenza di un team multidisciplinare, in cui diversi specialisti si confrontano sul singolo caso. «Inoltre è fondamentale fare tutte le domande necessarie prima di prendere una decisione – spiega Francesco Cognetti, presidente della Fondazione Insieme contro il Cancro -. Non bisogna avere timore di chiedere anche secondi pareri o di fare domande “imbarazzanti”. Diversi studi hanno dimostrato che un paziente informato aderisce meglio alle cure e vive più sereno, persino più a lungo».

Sviluppate un progetto a lungo termine

Niente false illusioni, ma neppure pessimismo a oltranza. «Certo non è semplice, ma la cosa migliore è avere un equilibrio – commenta Grassi -. Per questo avere un piano, purché realistico, può essere di grande aiuto. Programmare cosa si vuole far al ritorno a casa, conclusa la terapia o il prossimo Natale può dare sollievo alla mente, essere fonte di benessere, offrire una finestra sul futuro che contribuisce ad affrontare i momenti duri. Un buon proposito è anche quello di migliorare il proprio stile di vita: prendersi più tempo per se stessi, fare più attività fisica, smettere di fumare, migliorare l’alimentazione o perdere peso, sono tutti esempi di progetti che doppiamente utili. Da un lato fanno stare meglio, dall’altro aiutano effettivamente a limitare le probabilità di una ricaduta».

Siate positivi

Guardare sempre avanti e chiedere aiuto qualora se ne senta il bisogno. La prospettiva con cui si vive la malattia è un altro aspetto cruciale: bisogna cercare di essere positivi. È stato appurato che la psiche «influenza» l’andamento delle cure, nel senso che la maggiore o minore voglia di partecipare a controlli e terapie gioca un ruolo nei risultati. «Non si tratta di ottimismo o pessimismo – conclude Grassi -, ma di una consapevole adesione alle terapie: chi si abbandona al fatalismo o alla disperazione è meno “attivo” e quindi meno interessato o partecipe. Mentre è di grande aiuto che il malato sia parte integrante del suo processo di cura, interagendo con i medici, prendendo decisioni o esponendo le proprie difficoltà e problemi».

Fonte: corriere.it

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