Epatite E: come si può evitare

L’ epatite E (causata dal virus HEV), la meno nota tra le epatiti virali, è da tempo una «sorvegliata speciale». Si stima che un terzo della popolazione mondiale abbia avuto contatto con questo virus e che ogni anno 20 milioni di persone contraggano l’infezione, con conseguenze letali per circa 600mila persone, quasi tutte nei Paesi in via di sviluppo. Il virus è presente con vari genotipi (varianti) nelle diverse aree geografiche, ognuno dei quali ha caratteristiche specifiche.

Diminuisce l’incidenza degli altri virus dell’epatite

Attraverso i monitoraggi del Seieva (Sistema epidemiologico integrato dell’epatite virale acuta) si è visto che negli ultimi 30 anni è diminuita progressivamente l’incidenza dell’epatite A e, ancor di più, delle epatiti B, C e Delta. L’infezione da epatite E, invece, per la quale si registra un aumento di casi autoctoni (cioè non legati a viaggi in aree endemiche) si sta presentando come malattia emergente. Questo dipende anche dall’affinarsi delle capacità di arrivare a diagnosi corrette e in tempi rapidi.

Rischi altissimi in gravidanza

La percentuale di mortalità associata all’ epatite E è stimata tra l’1 e il 3%. Se però l’analisi viene fatta sulle donne in gravidanza che contraggono il virus la percentuale arriva al 15-25%. Non sono ancora note le cause di questa elevata incidenza di manifestazioni patologiche nelle donne gravide e del perché l’esito letale avvenga soprattutto nel terzo trimestre di gestazione (quando la letalità può raggiungere il 5-25%), ma l’ipotesi più accreditata è quella di un ruolo da parte di fattori immunologici che limitino nella donne gravide la capacità di combattere il virus.

Virus endemico in Europa

L’epatite E è una malattia sottostimata soprattutto per la carenza di strumenti di diagnosi efficaci. È diffusa soprattutto in Asia meridionale. In India è responsabile del 62% dei casi di epatite fulminante tra gli adulti e del 40% tra i bambini. Diversi studi hanno però evidenziato un’elevata presenza di anticorpi dell’epatite E anche tra la popolazione sana di Paesi industrializzati (5-20%), il che testimonia che il virus è endemico anche in Europa. In Italia, una recente indagine ha mostrato che l’8,6% della popolazione ha gli anticorpi dell’epatite E.

La causa principale dell’ epatite E è alimentare

L’infezione da HEV, in Italia, è risultata nel 90% dei casi asintomatica, mentre può causare epatiti acute e croniche nei pazienti immunodepressi. La causa principale di contagio dell’epatite E è alimentare (soprattutto carne cruda di maiali e cinghiali, ma anche polli e tacchini) come sembrerebbe dimostrare la predominanza del dato nelle regioni del centro Italia in cui è maggiore il consumo di questi alimenti. L’epatite E può essere considerata una malattia infettiva con trasmissione da animale a uomo. Poiché il principale serbatoio sono i suini, le persone che lavorano a stretto contatto con questi animali possono essere considerate a maggior rischio di infezione. Oltre al consumo di alimenti con carne infetta, alla trasmissione oro-fecale, alle acque contaminate e alla trasmissione verticale madre-figlio esiste anche il rischio di trasmissione attraverso trasfusioni di sangue. Esiste un vaccino contro HEV, ma al momento è commercializzato solo in Cina.

Chi è più a rischio

In Italia l’epatite E colpisce più gli uomini (80% dei casi), in età adulta (il 55% ha più di 44 anni). Il 33% dei casi riguarda cittadini stranieri. Le linee guida dell’Associazione europea per lo studio del fegato (Easl) indica quali sono i pazienti su cui va effettuata la ricerca degli anticorpi specifici e dell’Rna virale: tutti i pazienti con sintomi compatibili con l’epatite acuta, indipendentemente da storia di viaggi; viaggiatori con epatite che tornano da aree endemiche per HEV; pazienti con un’inaspettata riacutizzazione di una preesistente malattia cronica del fegato; pazienti immunocompromessi con valori alti delle transaminasi, non altrimenti spiegati; pazienti che si presentano con amiotrofia nevralgica, la sindrome di Guillain-Barré o encefalite/mielite; pazienti con transaminasi alterate dopo aver ricevuto prodotti ematici. L’Easl raccomanda di valutare l’opportunità di testare per HEV anche i donatori di sangue.

Fonte: corriere.it

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