Come affrontare claustrofobia e attacchi di panico

Controllare la claustrofobia e gli attacchi di panico è possibile e soprattutto si può imparare. Alcune tecniche d’emergenza sono state usate con i bambini intrappolati in Thailandia per uscire dalle grotte. Ma anche nella vita di tutti i giorni, il panico si può sconfiggere. Esistono metodi che aiutano a controllare le crisi di ansia e ci si può allenare anche a casa.

Che cosa sono gli attacchi di panico

In genere il primo attacco di panico arriva in maniera inaspettata, come un “fulmine a ciel sereno”. La persona comincia ad avvertire un malessere di tipo fisico: tachicardia, dolore al petto, sudorazione, sensazione di soffocamento, poi comincia a percepire uno stato di forte apprensione che rapidamente si trasforma in paura e poi in vero e proprio panico. Quando si arriva a questo punto si comincia a temere per la propria incolumità fisica: si pensa a un infarto, a un ictus o qualunque altro problema fisico grave.

Nella sua componente fisiologica, l’attacco di panico può essere considerato come uno “scatto a vuoto” della “reazione attacco-fuga”: un meccanismo neuro-motorio automatico che serve all’essere umano per aumentare le probabilità di salvarsi la vita nei momenti di reale pericolo di morte. Gli attacchi di panico sono dei falsi allarmi che si verificano quando il “sensore” della risposta attacco-fuga è troppo sensibile e non rispecchia pericoli reali.

Il metodo «Gavin Andrews»

La cura degli attacchi di panico può essere affrontata con metodi diversi e di solito prevede iter farmacologici e psicoterapia.
Tra gli esempi di protocolli di terapia, il metodo «Gavin Andrews» cerca di favorire la consapevolezza di essere capaci di gestire la sintomatologia fisiologica degli attacchi di panico, attraverso l’allenamento con tecniche specifiche. Viene poi condotto un intervento psicoterapeutico finalizzato alla comprensione delle ragioni profonde degli attacchi di panico e all’acquisizione di strategie utili a neutralizzare gli effetti “tossici” dell’esperienze negative vissute nell’infanzia e nella giovinezza. Questo metodo è stato adottato da circa 1500 persone in 20 anni.

Il controllo della respirazione

La prima parte del trattamento con il “metodo Gavin Andrews” riguarda la capacità del paziente di riconoscere l’arrivo dell’attacco di panico e di mettere in pratica alcune tecniche di autocontrollo che blocchino sul nascere le crisi. Innanzitutto, bisogna imparare a modulare la respirazione. L’iperventilazione o l’ipoventilazione provocano un aumento della concentrazione di ossigeno nel sangue che porta ai sintomi fisiologici del panico: mancanza di respiro, aumento del ritmo cardiaco, rigidità muscolare, gravi vertigini e nausea, sensazione di costrizione, forti dolori al torace, infine perdita di conoscenza.

La respirazione lenta

Ai primi segni di ansia o appena ci si accorge di iperventilare è molto utile applicare la tecnica della respirazione lenta, che consiste nel trattenere il fiato per cinque secondi e poi riprendere a respirare lentamente, sempre con il naso, in cicli di 6 secondi. Dopo una serie di 10 respiri completi trattenete di nuovo il fiato per 5 secondi e poi riprendete a respirare.

Il controllo dei muscoli

Una componente della “risposta di attacco o fuga” è rappresentata dall’aumento della tensione muscolare, utile per preparare i muscoli a fuggire o a colpire. Se i muscoli quindi sono tesi quando non c’è pericolo, questo stato comunica al cervello sensazioni di allerta, di potenziale pericolo, e porta a reagire a eventi minimi in modo esagerato, con apprensione e ansia. Imparare a rilassare i muscoli (e quindi a controllarli) dà al corpo un segnale di “ritorno alla normalità” e permette al cervello di smettere di aver paura.

Le tecniche di rilassamento muscolare

Il rilassamento muscolare isometrico può essere esercitato anche in pubblico, mentre ci si trova in una situazione ansiogena. Consiste nel contrarre leggermente e rilassare diversi gruppi muscolari, delle gambe e delle braccia, per lasciar fluire la tensione. Il rilassamento muscolare progressivo, invece, viene effettuato con l’ausilio di una voce registrata che dà le istruzioni da seguire. Per raggiungere effetti duraturi è necessario fare quest’esercizio per almeno 8 settimane.

Dopo la crisi di panico

La maggior parte dei soggetti ansiosi mette subito in relazione l’attacco di panico con la situazione nella quale esso si è verificato e impara presto a riconoscere le situazioni in cui con maggior probabilità si potrebbe scatenare di nuovo. Ogni volta che si evita una determinata situazione, però, non solo il panico non scompare, ma chi ne soffre finisce col trovare pericolose anche altre situazioni in cui pensa che potrebbe avere un attacco.

L’esposizione graduale

Tornare nel luogo associato a un attacco di panico può servire, ma bisogna farlo in una condizione protetta e gradualmente. L’esposizione graduale è la tecnica che permette di tornare nei posti che sono stati teatro degli attacchi di panico, o tornare a fare qualcosa che li ha scatenati. Consiste nel darsi degli obbiettivi specifici che si desidera raggiungere, elencandoli da quelli estremamente facili a quelli estremamente difficili. Gli obiettivi devono essere formulati in modo molto chiaro e dettagliato e poi suddivisi in passi più piccoli, per elaborare un avvicinamento a tappe. L’ultimo passo deve rappresentare qualcosa di veramente difficile, impegnativo o sgradevole per chiunque, qualcosa che probabilmente non si dovrà mai più fare nella vita reale. Essere riusciti ad affrontare con successo un tale passo convincerà il paziente che può padroneggiare con facilità e senza problemi qualsiasi situazione.

Fonte: corriere.it

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