Tumore al seno: quando serve la chemioterapia?

Nel trattamento delle forme precoci del tumore al seno la chemioterapia dopo l’intervento di rimozione non è sempre la scelta migliore. Anzi, nel 70% dei casi – individuati grazie ad un test genetico (TAILORx) – potrebbe essere evitata senza nessuna conseguenza sul rischio di sviluppare una recidiva. Un risultato importante dall’immediata ricaduta clinica, poiché molte donne potranno evitare i pesanti effetti collaterali della chemioterapia. I dati sono stati presentati al congresso ASCO di Chicago, il principale meeting mondiale dedicato alla lotta ai tumori.

Evitare le recidive

Una delle strategie più diffuse per evitare il rischio di sviluppare recidive nel tumore al seno prevede la somministrazione, immediatamente dopo l’intervento, di una terapia adiuvante a base di chemioterapia e terapia ormonale. L’obbiettivo principale è quello di ridurre al minimo la possibilità che la malattia si ripresenti eliminando le potenziali cellule tumorali presenti in circolo. Questo approccio negli anni ha portato a una netta riduzione nel numero di recidive.

La chemioterapia non è sempre necessaria

«Circa la metà dei tumori al seno -spiega Joseph Sparano dell’Albert Einstein Cancer Center di New York- rientra nella categoria dei tumori ormonosensibili, HER-2 negativi e negativi al controllo del linfonodo ascellare. In tutti questi casi la tendenza è quella di impostare una terapia adiuvante. Nel nostro studio, il più grande mai realizzato (oltre 10 mila donne), abbiamo dimostrato che non sempre però c’è bisogno della chemioterapia in aggiunta alla terapia ormonale. Questa può essere infatti evitata nel 70% dei casi grazie all’analisi genetica del tumore».

In certi casi, basta la terapia ormonale

Per arrivare a questo risultato gli autori dello studio hanno valutato la “sopravvivenza libera da malattia” in due gruppi di donne che presentavano un rischio di recidiva medio valutato analizzando l’attività di 21 geni tumorali: il primo è stato sottoposto a chemioterapia e terapia ormonale, il secondo alla sola terapia ormonale. Dalle analisi non è emersa nessuna differenza significativa tra i due gruppi e per questa ragione l’utilizzo della chemioterapia nelle donne a medio rischio -che rappresentano il 70%- non si rende necessaria. Unica eccezione riguarda le pazienti più giovani (under 50): per loro la doppia terapia sembra essere comunque vantaggiosa.

Evitare gli effetti collaterali della chemioterapia

«Quanto ottenuto in questo studio -spiega Harold Burstein di ASCO- cambierà la pratica clinica nella gestione della terapia adiuvante. Grazie a questo risultato infatti sarà possibile evitare a molte donne gli effetti collaterali della chemioterapia». C’è un però: affinché tutto ciò entri nella pratica clinica occorre che il centro di cura utilizzi il test genetico di valutazione dei 21 geni. Attualmente i risultati sono stati ottenuti all’interno di una sperimentazione ma al di fuori di esse il test è disponibile solo in alcuni Stati (USA, Regno Unito, Francia, Grecia, Svizzera e Spagna) e non sempre rimborsato. La speranza è quella che il test (ce ne sono già altri di simili in commercio) sia esteso sempre di più poiché -oltre a migliorare la vita dei malati- rappresenta un investimento per il Sistema Sanitario poiché potra evitare di somministrare una chemioterapia inutile.

Fonte: fondazioneveronesi.it

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