Il tumore della prostata è meglio rimuoverlo per via tradizionale o ricorrendo alla chirurgia robotica? La domanda è tra le prime che da almeno tre lustri pongono gli oltre trentacinquemila uomini che ogni anno scoprono di avere il tumore più diffuso nel sesso maschile. Finora le risposte sono state controverse: da una parte gli urologi tradizionalisti e più parsimoniosi, dall’altra la schiera dei votati all’innovazione. Oggi, in realtà, la scienza dice che non esistono particolari differenze a tre mesi dall’intervento, come è stato riportato da uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet.
Confronto in parità per gli interventi alla prostata
Il primo confronto randomizzato mirato a comparare gli esiti della procedura chirurgica tradizionale con quelli derivati dalla chirurgia robotica s’è dunque concluso con un risultato di parità. Tre mesi dopo l’intervento, tra gli uomini operati per l’asportazione di un tumore della prostata localizzato non è emersa alcuna differenza: in termini di qualità della vita, preservazione della potenza sessuale e della continenza, radicalità dell’intervento. Le conclusioni necessitano però di un’ulteriore conferma a lungo termine.
Come si è svolto lo studio
A condurre la ricerca sono stati alcuni specialisti australiani del Royal Brisbane & Women’s Hospital, che tra il 2010 e il 2015 hanno selezionato 326 uomini a cui era stato appena diagnosticato un tumore della prostata localizzato.
La metà di essi è stata sottoposta all’intervento per via tradizionale (con asportazione della ghiandola a cielo aperto), la restante parte è stata trattata con il Robot Da Vinci, il cui utilizzo rappresenta un’evoluzione delle tecniche laparoscopiche introdotte già a partire dagli anni ’80.
Per quali interventi si utilizza il robot?
Il confronto s’è reso necessario anche perché negli ultimi anni l’impiego della chirurgia robotica è andato crescendo. L’urologia, con la chirurgia della prostata e del rene, è il settore di punta, in questo senso. Seguono la ginecologia, la chirurgia toracica e la chirurgia generale. Negli Stati Uniti ormai l’85% degli interventi di asportazione della prostata viene effettuato con il Robot (2474 gli esemplari attivi). In Europa non si raggiungono gli stessi tassi di diffusione, ma quando un urologo comunica a un paziente l’eventualità di essere operato per via mininvasiva, la sua reazione è spesso scontata: via libera all’innovazione. La scelta, come dimostra lo studio, non assicura una migliore riuscita dell’intervento.
Come funziona il robot Da Vinci?
Il Robot utilizza una videocamera 3D che, una volta entrata nell’addome, ingrandisce il campo operatorio di dieci volte. In questo modo il chirurgo può osservare la lesione pur avendo realizzato soltanto un paio di fori sulla parete addominale del paziente. La videocamera è collegata a uno dei quattro bracci sul Robot, mentre gli altri tre sono collegati agli strumenti chirurgici necessari durante l’operazione. Il chirurgo è in sala operatoria, ma è lontano dal paziente e controlla dalla consolle i bracci robotici per eseguire l’operazione. La conclusione dei ricercatori è chiara: «Per il momento la scelta dovrebbe dipendere dal rapporto di fiducia che si ha con il chirurgo e non dalla metodica operatoria disponibile».
Prevenire è meglio che operare
Per il momento, il confronto fra chirurgia robotica e a cielo aperto finisce per ora in parità. In termini di buona riuscita dell’intervento, più del mezzo conta il rapporto di fiducia con l’urologo, i controlli periodici e una diagnosi tempestiva. Emicenter sostiene gli uomini con programmi di prevenzione completi a tariffa agevolata. Richiedi maggiori informazioni o prenota il tuo check-up prostata a Napoli.
Fonte: fondazioneveronesi.it
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