La diagnosi prenatale è quell’insieme di esami e indagini che permettono di controllare lo stato di salute del feto durante la gestazione. Attraverso le tecniche di diagnosi prenatale, che possono consistere in indagini sia strumentali sia di laboratorio, è possibile isolare patologie di diverso tipo che possono interessare il feto: genetiche, iatrogene, infettive o ambientali. Per questi motivi, lo screening prenatale è fondamentale e sta diventando sempre meno invasivo.
Screening offerti in gravidanza
Esami come la translucenza nucale, tri-test e bi-test, non invasivi, permettono di individuare la possibilità di rischio riguardo a vari tipi di anomalie del feto (tra cui, quelle cromosomiche come la sindrome di Down). Per questo, in Italia, nel primo trimestre di gravidanza lo screening prenatale offerto a tutte le donne consiste in diverse tipologie di esami.
Innanzitutto, la futura mamma viene sottoposta a esami ematochimici e infettivologici (tramite prelievo del sangue) e a un’ecografia con traslucenza nucale del feto.
Quest’ultimo è un esame non invasivo che permette di evidenziare l’esistenza di un rischio che verrà poi smentito o confermato da esami più invasivi come la villocentesi e l’amniocentesi. Nella parte ecografica dello screening prenatale (fonte IRCCS Ca’ Granda), si effettuano alcune misurazioni fondamentali: lunghezza del feto (CRL), frequenza cardiaca fetale e spessore della translucenza nucale (NT).
Le tempistiche
Lo screening prenatale si esegue tra l’undicesima e la tredicesima settimana di gravidanza in modo che, qualora si evidenzi la necessità di approfondimenti, la villocentesi sia ancora possibile. E anche perché, nel caso in cui la villocentesi confermi l’esistenza di un’anomalia cromosomica, sia prevista ancora la possibilità di effettuare un’interruzione di gravidanza più sicura e con meno traumi.
Translucenza nucale
La translucenza nucale (identificata con la sigla NT) è una raccolta di liquido visibile tramite ecografia in forma di spazio nero situato dietro al collo fetale. Tra l’undicesima e la tredicesima settimana di gravidanza, tutti i feti evidenziano la presenza di questo spazio nero. La differenza, in termini di rischio, la fa lo spessore dello stesso: per esempio, nei feti con sindrome di Down (trisomia 21) o altri tipi di anomalie, questo spessore è aumentato.
Esame del sangue
Oltre alla parte ecografica, lo screening prenatale è combinato ovvero prevede anche uno specifico esame del sangue materno. In presenza di anomalie cromosomiche del feto, infatti, si riscontrano spesso variazioni nei valori relativi a sostanze prodotte dalla placenta. Le due sostanze, nello specifico, sono La ß-hCG libera e la PAPP-A.
Tali valori possono subire variazioni non solo se esiste un’anomalia di tipo cromosomico ma anche se sussistono altri fattori (per esempio, se ci si è sottoposte a fecondazione in vitro) che influenzino i risultati dell’esame. Dunque, anche per il prelievo di sangue materno, l’esito ci parla solo di valutazione del rischio e non di diagnosi certa.
Il rischio nella diagnosi prenatale
Dopo aver effettuato lo screening prenatale, si valuta quindi il rischio. Se quest’ultimo è giudicato basso, allora si procede con i normali controlli di routine previsti in gravidanza. Se al contrario il rischio è alto, alla futura mamma viene consigliato di sottoporsi a villocentesi o amniocentesi.
Fino a non molto tempo fa, la valutazione del rischio era strettamente correlata all’età materna. Oggi, invece, l’età materna è soltanto il punto di partenza per definire un rischio di base da personalizzare a seconda dei risultati ottenuti con lo screening prenatale combinato.
Fonte: donnamoderna.com
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