È una pompa efficientissima, un organo da record che per tutta la nostra vita si contrae oltre 100mila volte al giorno per spingere in circolo 8mila litri di sangue nell’arco delle 24 ore. Il cuore è infaticabile, ma a lungo andare lo sforzo che compie quotidianamente può metterlo alla prova: con gli anni può sfiancarsi, riuscendo sempre meno a pompare il sangue in circolo e andando incontro a scompenso. Un problema diffuso che riguarda circa un milione di italiani, ma del tutto sottostimato, sebbene sia secondo solo al parto come numero di ricoveri: la recente campagna di informazione sullo scompenso cardiaco della Heart Failure Association ha sottolineato come in Italia siano circa 165mila ogni anno i ricoveri per questa patologia, con costi elevatissimi perché in media i pazienti stanno una decina di giorni in ospedale.
L’insufficienza cardiaca
Eppure pochi sanno che cosa sia l’insufficienza cardiaca (l’altro modo di chiamare lo scompenso). «Lo scompenso cardiaco compare in genere da anziani, quando è facile sottovalutarne i sintomi — risponde Alessandro Boccanelli, presidente della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica —. La fiacca, l’affanno frequente, la riduzione della tolleranza allo sforzo sono disagi poco specifici, comuni ad altre malattie, e non arrivano da un momento all’altro: così molti li imputano solo all’età che avanza, invece in qualche caso possono essere segni di un cuore affaticato, che non riesce più a pompare bene il sangue». Spesso alla base del problema ci sono valvole cardiache non più perfettamente funzionanti a causa dell’età; sono poi elementi di rischio altre patologie come la fibrillazione atriale, l’aritmia più diffusa, ma anche l’aterosclerosi, l’ipertensione o gli esiti di un infarto.
Gli effetti dello scompenso
«Lo scompenso è una sindrome provocata da numerosi fattori: la pressione alta non diagnosticata o non trattata per rientrare in valori normali è uno dei più consistenti, così come il sovrappeso e l’obesità, che aumentano lo sforzo cardiaco, o il diabete, che accelera l’aterosclerosi — spiega Niccolò Marchionni, direttore del Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare del Policlinico Universitario Careggi di Firenze —. Tutti temono i tumori, ma gli effetti dello scompenso possono essere devastanti».
I controlli nel corso della vita
Le conseguenze di un cuore che non funziona bene sono tante, ma le più gravi sono il mancato apporto di ossigeno e sangue a organi e tessuti, che compromette la funzionalità generale dell’organismo e il ristagno di liquidi nelle gambe o nei polmoni. I sintomi possono essere vaghi, quindi per diagnosticare per tempo lo scompenso «servono “tagliandi periodici” al motore-cuore: dai 35-40 anni, elettrocardiogrammi regolari — dice Boccanelli —. Dopo i 60 anni, soprattutto in presenza di fattori di rischio, è opportuno “ascoltare” i sintomi: in caso di palpitazioni, stanchezza, affaticamento respiratorio senza un apparente motivo è bene rivolgersi al medico di famiglia e poi se necessario al cardiologo per individuarne la causa». «Sono utili anche alcuni esami strumentali: sottoporsi a una prova da sforzo e un’ecocardiografia ogni 4-5 anni dopo i 50-55 ; inoltre bisogna sempre controllare la pressione».
Conoscerlo e prevenirlo
La diagnosi tempestiva è importante, perché una volta individuata la causa dello scompenso i trattamenti esistono e possono aumentare non poco l’aspettativa di vita, se l’insufficienza cardiaca è nelle prime fasi. Ricordando che «Non si tratta di una malattia ineluttabile, lo scompenso si può prevenire: tenere sotto controllo tutti i fattori di rischio cardiovascolare fin da giovani può ridurne molto la probabilità», conclude Marchionni.
Fonte: corriere.it
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