Protesi al seno e rischio tumore

Ogni anno nel mondo sono centinaia di migliaia le protesi che vengono impiantate sia a scopo puramente estetico sia nella ricostruzione di un seno dopo la rimozione chirurgica di un tumore. È una scelta che nasce da bisogni personali, spesso profondi. Ha a che fare non solo con il desiderio di essere piacente, ma con le relazioni, il corpo e l’autostima. È naturale che alcune donne, se non sono a loro agio con una parte importante del corpo come il seno, cerchino di cambiare. Ma devono essere aiutate dai loro chirurghi plastici a conoscere i potenziali rischi e gli effetti estetici attesi, con aspettative realistiche.

Il caso delle protesi mammarie difettose

Negli anni scorsi ha destato particolare scalpore la notizia che alcune protesi PIP, prodotte da un’azienda francese ora non più esistente, oltre ad essere realizzate con silicone scadente e non certificato presentavano un elevato rischio di rottura.
Caratteristiche che hanno indotto l’Italia, e in particolare il sistema sanitario nazionale, ad autorizzarne a spese proprie l’espianto.

Protesi mammarie e rischio linfoma

In aggiunta a questo problema, negli anni è stato sollevato un ulteriore dubbio sulle protesi e in particolare sul presunto legame tra l’utilizzo di quelle testurizzate, le più usate oggi perché hanno una superficie rugosa che riduce il rischio di contrattura capsulare, e lo sviluppo di una particolare forma di tumore. Alcune analisi hanno infatti segnalato che le donne portatrici di queste protesi sono più esposte a un raro tipo di linfoma che colpisce le cellule del sistema immunitario.
Si parla probabilmente di alcune centinaia di casi nel mondo, secondo il Ministero della salute 41 casi in Italia, dove ogni anno si impiantano circa 51.000 protesi (37.000 per ricostruzione dopo intervento). Il presunto legame, ancora da chiarire in maniera certa, non deve però spaventare: rispetto alle protesi impiantate i casi di linfoma sono assai rari e la malattia, quando si manifesta, ha altissime probabilità di guarigione.

Il diritto alla chirurgia ricostruttiva

A volte, l’intervento serve per restituire dignità fisica a donne che, dopo una mastectomia, se ne sentirebbero prive. L’asportazione totale della mammella è ancora necessaria in quasi un terzo dei casi di tumore al seno. In questi casi la ricostruzione è un diritto di tutte le pazienti, un’opportunità importante di reintegrare il proprio aspetto fisico. Esistono diverse tecniche chirurgiche, che prevedono di inserire la protesi in una “tasca” costituita dai muscoli del torace, in modo da ricoprirla ed evitare che sia in contatto con la cute; o, in alternativa, si sta da poco tempo utilizzando il posizionamento in sede sottocutanea, nella sede naturale della mammella asportata, avendo l’accortezza di rivestirla con materiali che evitano o riducono il rigetto, cioè la contrattura capsulare.

I controlli utili per chi ha una protesi mammaria

Per le donne che hanno protesi utilizzate per la ricostruzione dopo una malattia neoplastica non ci sono novità: è infatti previsto da tutti i protocolli un controllo strumentale con cadenza almeno annuale. Per le donne che hanno protesi posizionate a fini puramente estetici, si consiglia comunque di effettuare un’ecografia annuale per controllare le protesi.

La prevenzione oncologica

Molte donne si preoccupano che le protesi mammarie siano d’ostacolo agli esami di controllo per il seno. Possono stare tranquille: si può fare la mammografia, con una tecnica particolare e sempre affiancata dall’ecografia, che serve anche a controllare l’integrità della protesi e gli eventuali segni del rarissimo linfoma di cui sopra. Nei casi dubbi si può ricorrere alla risonanza magnetica mammaria. Per le donne che hanno subito una mastectomia, invece, dal lato operato viene eseguita solo l’ecografia e non la mammografia.

In conclusione, in futuro l’evoluzione tecnologica fornirà nuovi materiali, ma nell’attesa si possono continuare a usare senza paure infondate le protesi attualmente disponibili. A fare la differenza sono le informazioni chiare e il dialogo aperto con il medico.

Fonte: fondazioneveronesi.it

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