I progressi in oncologia

Dagli anni Ottanta in poi, uno degli obiettivi dell’ oncologia è stato quello di anticipare i tempi della diagnosi di un tumore, con lo scopo di aggredirlo, sia chirurgicamente sia con farmaci, prima che potesse fare danni. La strategia è stata indubbiamente vincente e ha contribuito a ridurre non solo la mortalità, ma anche le menomazioni fisiche legate a interventi tardivi. La diagnosi precoce ha però avuto come conseguenza anche numerose sovradiagnosi, testimoniate da diversi studi epidemiologici, e la ricerca si è attivata per definire con certezza quando è davvero utile anticipare una diagnosi oncologica.

Il problema della sovradiagnosi in oncologia

Si parla di sovradiagnosi quando si identifica una malattia che non porterebbe, negli anni successivi, a sintomi o morte. Si è scoperto che esistono forme tumorali a lenta e persino lentissima progressione che, se visualizzate con screening diagnostici o sospettate per la presenza di marcatori nel sangue, devono essere indagate e spesso curate dal medico anche se non avrebbero mai dato problemi.

L’esempio del cancro alla prostata e al seno

L’esempio più noto è quello del cancro alla prostata di basso grado, che è presente, secondo studi effettuati su autopsie, in oltre l’80% degli ultraottantenni e anche in molti uomini più giovani. Nonostante nella stragrande maggioranza dei casi questi tumori non progrediscano o addirittura regrediscano, l’identificazione del problema induce il medico a eseguire almeno una biopsia e, in alcuni casi, ad asportare la ghiandola. Ciò può provocare danni ai nervi che governano l’erezione e ritenzione delle urine nella vescica, comportando una perdita di qualità della vita del paziente. Lo stesso problema si sta presentando con il cancro del seno: alcuni studi dimostrano che circa un quarto delle diagnosi di sospetto tumore eseguite con la mammografia appartengano a categorie a bassa malignità che probabilmente non si trasformerebbero in un problema più serio.

Perché continuare a proporre gli screening in oncologia

Anche se è relativamente semplice (ed è stato fatto) stimare le sovradiagnosi a livello di popolazione, con studi epidemiologici, non lo è affatto a livello individuale. Al momento gli oncologi non possono, nella maggioranza dei casi, distinguere una forma lentissima da una che progredirà e sarà aggressiva. Le conoscenze che abbiamo sullo sviluppo tumorale derivano per lo più da studi su forme avanzate della malattia.

La ricerca in oncologia prosegue

Ora gli esperti sono tornati sui banconi dei laboratori, perché spesso le risposte ai quesiti più clinici sono da ricercarsi nei meccanismi di base dei tumori. Le ricerche si concentrano sui fattori che possono determinare il destino di forme tumorali iniziali (l’ambiente cellulare, il substrato genetico, l’azione del sistema immunitario). Gli studi non sono semplici perché non possono essere fatti sull’uomo, dal momento che si analizzano tessuti nelle primissime fasi di trasformazione cancerosa, quando nella maggior parte dei soggetti non siamo nemmeno in grado di fare diagnosi, ma devono essere condotti in vitro.

In alcuni casi si può fare ricorso a sistemi informatici che simulino la trasformazione della cellula, in altri al modello animale. Un altro filone di ricerca importante è quello dei marcatori circolanti, sostanze rilasciate dal tumore nel circolo sanguigno (come enzimi, ormoni e anche microRNA), capaci, si spera, di distinguere le forme maligne da quelle più benigne, che possono essere lasciate in situ e sorvegliate a distanza.

Fonte: airc.it

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