10 consigli per stare vicino a chi è colpito dall’Alzheimer

Il Rapporto Mondiale Alzheimer 2019 ha puntato i riflettori sullo stigma verso la malattia, che nel 2050 interesserà 152 milioni di persone. Tra false credenze e pregiudizi, il rischio è che la persona venga espropriata dalle decisioni e non adeguatamente curata.

Per questo la Federazione Alzheimer Italia ha stilato un decalogo di consigli per chi si prende cura di un parente colpito da questa patologia.

Lo stigma e le false credenze sull’Alzheimer

Sono trascorsi 20 anni dalla “Carta dei diritti della persona con demenza”, stilata dalla Federazione Alzheimer Italia. Ma lo stigma nei confronti dei malati e delle loro famiglie e le “false credenze” verso la demenza sono ancora battaglie che vedono in prima linea le associazioni di famiglie e malati in tutto il mondo.

Il Rapporto Mondiale Alzheimer 2019 ha condotto un’imponente indagine sulle convinzioni e i comportamenti diffusi nell’opinione pubblica nei confronti della malattia di Alzheimer.

I dati hanno dimostrato che 2 persone su 3 pensano ancora che la demenza sia una conseguenza del normale invecchiamento. Oltre a questo, una persona su 4 pensa che non si possa fare nulla per prevenire la demenza e una su 5 attribuisce la demenza a sfortuna.

Coinvolgere i pazienti durante i trattamenti

Almeno la metà delle persone con demenza si sente ignorato, quando avrebbe pieno diritto (come sottolinea la Carta dei diritti) all’informazione e alla partecipazione nelle decisioni che riguardano la propria assistenza, oltre alla libertà di scegliere le diverse opzioni di cura.

Dall’indagine emerge in sostanza come lo stigma verso la demenza impedisca alle persone di chiedere informazioni, supporto e assistenza medica che potrebbero migliorare notevolmente la durata e la qualità della vita.

I numeri dell’Alzheimer nel mondo

Nel mondo ci sono 46,8 milioni di persone affette da una forma di demenza, cifra destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni. Sul fronte economico, il costo annuo della demenza supera attualmente i mille miliardi di dollari.

Solo la metà dei malati nei Paesi ad alto reddito e uno su dieci nei Paesi a medio e basso reddito ricevono una diagnosi, e quindi un’assistenza sanitaria completa.

La malattia di Alzheimer in Italia

In Italia si stima che la demenza colpisca 1.241.000 persone. La malattia di Alzheimer è la più comune causa di demenza (rappresenta il 50-60% di tutti i casi). Non se ne conoscono ancora con esattezza le cause.

Attualmente non è guaribile, ma ci sono farmaci che possono migliorare alcuni sintomi cognitivi, funzionali e comportamentali. Inoltre, numerose tecniche e attività possono ridurre i disturbi del comportamento.

Maggior supporto alle famiglie

Per sua natura, la demenza crea dei bisogni non solo sanitari e impone un ruolo chiave alla famiglia del malato nell’assistenza quotidiana. La famiglia non può essere lasciata sola nella gestione dei numerosi problemi della vita di ogni giorno.

Sostenere le famiglie significa prima di tutto combattere la disinformazione e lottare contro il pregiudizio sociale e lo stigma che circondano le persone con demenza e il loro mondo.

Un supporto importante può venire da una rete efficiente di servizi territoriali (medico di famiglia, centri diurni, assistenza domiciliare integrata), nonché dalle associazioni di familiari, che con la loro attività di informazione, formazione e sostegno costituiscono spesso un punto di riferimento per le famiglie.

Un decalogo di consigli per i parenti e i caregiver

1.La prima linea per combattere lo stigma sociale nei confronti dell’Alzheimer è la famiglia. In famiglia si può venire travolti dal timore della diagnosi, a volte si diventa i primi a non voler condividere con nessuno la notizia, nemmeno con il malato. È invece necessario mettere a disposizione tutte le informazioni, prima di tutto con il malato, che resta protagonista delle scelte terapeutiche e di accompagnamento, poi con parenti, amici, vicini, che messi opportunamente al corrente si trasformano in una risorsa.

2. Informarsi, chiedere supporto, capire quali saranno le fasi della malattia e quali risorse possono essere messe in campo.

3. Non diventare escludenti, non parlare in presenza della persona malata come se non ci fosse.

4. Coinvolgere la persona malata nelle decisioni che la riguardano, aiutandola a sentirsi protagonista e prevenendo atteggiamenti di senso di persecuzione (“stanno parlando di me alle mie spalle”).

5. L’identità di ciò che sono stati rimane: se un malato è stato un manager, un insegnante, una donna che ha tenuto in piedi tutta la famiglia, è giusto che possa sentire la possibilità di continuare a prendere decisioni, fin dove la malattia glielo consente.

6. Evitare che la gestione della vita quotidiana sia un “mero servizio”: “Indossa questo!”, “Mangia questo!” sono esortazioni votate all’efficienza ma che escludono la persona; sarebbe invece importante consentire di scegliere, anche pazientando su un allungamento dei tempi, perché anche le piccole cose quotidiane rappresentano un esercizio cognitivo e di autonomia.

7. Sin dall’epoca della diagnosi è importante pensare a costruire una rete informale e amicale che possa sostenere la lenta perdita di autonomia del malato: il rischio di “saturazione” di chi se ne prende cura è alto, pertanto è bene fin da subito avere un “piano” di supporto e accompagnamento.

8. Combattere l’isolamento e la solitudine del malato: sollecitare gli incontri con amici, favorire eventi di socialità, continuare a frequentare teatri o musei.

9. Chiedere aiuto ai medici, alle associazioni e ad altre famiglie che stanno affrontando la stessa situazione può fornire supporto psicologico, legale, informativo e di orientamento.

10. Non dimenticarsi di sorridere. Conservare i bei momenti fa bene: gli occhi del malato che brillano, le buone giornata, le visite degli amici, gli abbracci.

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