Diagnosi prenatale: ecco cosa si può fare

Ci sono situazioni in cui è opportuno effettuare le indagini volte a verificare se il feto è interessato da anomalie, anche facendo ricorso alle metodiche più invasive (amniocentesi e villocentesi). In alcuni casi sono sufficienti, invece, i semplici test di screening prenatale.

Individuare un’anomalia genetica

La probabilità di avere un figlio con un difetto congenito riguarda tutte le coppie. L’entità del rischio riproduttivo nella popolazione generale è di circa il 3%. Per alcune coppie, tuttavia, esso può aumentare considerevolmente: queste coppie possono essere identificate grazie a una visita specialistica di genetica medica effettuata in epoca prenatale.

Una volta iniziata la gravidanza si può invece ricorrere alla diagnosi prenatale, che è l’insieme delle indagini strumentali e di laboratorio finalizzate al riconoscimento di patologie prima della nascita. L’esecuzione di una diagnosi prenatale è un’attività multidisciplinare nella quale sono coinvolte diverse figure professionali (medico genetista, ginecologo, psicologo, specialista di laboratorio), la cui collaborazione è indispensabile per una corretta valutazione del rischio. La diagnosi prenatale è volontaria e accessibile a tutti coloro che ne facciano richiesta.

I test di screening prenatale

I test di screening ecografici e biochimici comprendono un’ecografia con la quale si misura la translucenza nucale del feto (spessore del liquido linfatico che si raccoglie nella parte posteriore del collo) e il bi-test (prelievo di sangue materno attraverso il quale si misura la concentrazione di sostanze prodotte dalla placenta), solitamente eseguiti in modo combinato tra l’undicesima e le quattordicesima settimana di gestazione. Non sono test diagnostici in grado di identificare se il feto è malato o sano, ma test di screening, attraverso i quali è possibile stimare il rischio che il feto presenti o meno alcune anomalie cromosomiche. non danno cioè certezze ma probabilità di rischio.

I test genetici sono consigliati in due situazioni di rischio

  • Gravidanze in cui il rischio riproduttivo aumentato della coppia sia prevedibile “a priori”: età materna avanzata o genitore portatore di anomalie cromosomiche (traslocazioni bilanciate) o di mutazioni geniche.
  • Gravidanze in cui l’aumentato rischio che il feto sia affetto da un’anomalia si evidenzia durante la gestazione: durante le ecografie di controllo o per mezzo risultati dei test di screening.

Le metodiche invasive di diagnosi prenatale

La villocentesi, ossia il prelievo dei villi coriali eseguito nel primo trimestre tra la decima e l’undicesima settimana di gestazione, e l’amniocentesi, ossia il prelievo di liquido amniotico eseguito a partire dalla quattordicesima settimana, sono le metodiche invasive di diagnosi prenatale, che hanno il vantaggio di essere dirette, in grado cioè di identificare con maggiore precisione le eventuali anomalie cromosomiche del feto o di permettere l’esecuzione di test genetici mirati. Il rischio di aborto legato al prelievo dei campioni attraverso l’addome materno è pari allo 0,5-1%. Questi esami sono eseguibili gratuitamente presso le strutture del Sistema Sanitario Nazionale quando si pongono le due situazioni di rischio descritte in precedenza.

I test genetici prenatali non invasivi (NIPT)

Questi test, di recente introduzione, danno modo di studiare il DNA fetale grazie ad un prelievo di sangue materno. Nonostante si tratti, anche in questo caso, di test di screening, sono più accurati rispetto a quelli ecografici e biochimici, e sono in grado di identificare le gravidanze a rischio per alcune anomalie genetiche. L’eventuale risultato ad alto rischio va confermato comunque dall’amniocentesi o dalla villocentesi.

Questi test su sangue materno sono al momento eseguibili solo privatamente presso laboratori specializzati. Se desideri avere più informazioni, scopri il test PrenatalSAFE® chiedendo consiglio ai nostri esperti.

Fonte: bimbisaniebelli.it

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