La socialità migliora la prognosi del tumore al seno

Nella cura del tumore al seno contano la prevenzione e le terapie: questo è sicuro. Ma sulle chance di sopravvivenza dopo la malattia, inciderebbe anche un aspetto che poco ha a che vedere con i farmaci, la chirurgia e le corsie degli ospedali. La capacità di curare i rapporti sociali dopo aver trattato la malattia può sensibilmente migliorare le prospettive delle oltre cinquantamila donne che in Italia ogni anno si scoprono ammalate.

Un aiuto anche dalle relazioni sociali

Il messaggio giunge da una ricerca pubblicata su Cancer, la rivista dell’American Cancer Society. I ricercatori del Kaiser Permanente Medical Center di Oakland sono partiti dai risultati di diversi studi condotti negli ultimi anni, secondo cui la solitudine e la mancanza di connessioni sociali aumenterebbero il rischio di morte prematura. Così hanno deciso di indagare se gli stessi aspetti hanno un ruolo non trascurabile nel determinare la prognosi di un gruppo di donne colpite dalla più frequente neoplasia femminile, il tumore al seno. Gli studiosi, guidati da Candyce Kroenke, hanno raccolto 9.267 cartelle cliniche di pazienti colpite dalla malattia e, in un follow-up durato dieci anni, hanno misurato il decorso della malattia rapportandolo alla rete di relazioni sociali intessute dalle donne. I risultati ottenuti parlano chiaro: avere una rete sociale estesa aumenta in modo significativo i tassi di sopravvivenza tra le donne che sono sopravvissute a un tumore al seno.

I risultati

Nel decennio di osservazione, sono state diagnosticate 1.448 recidive e 1.521 sono stati i decessi, 990 dei quali provocati dalla stessa malattia. Ma le probabilità di andare incontro a una recidiva e di morire precocemente sono risultate più alte, rispettivamente, del 40 e del 60 per cento tra le donne meno integrate. Nel complesso, le correlazioni sono risultate più evidenti nelle pazienti con una malattia al primo o al secondo stadio: dunque diagnosticata in fase precoce, con dimensioni inferiori a due centimetri e senza coinvolgimento dei linfonodi.

Il ruolo della psiche nella diagnosi del tumore al seno

«La genesi di una malattia e il suo sviluppo sono processi influenzati da numerosi fattori non soltanto fisiologici, ma pure legati al benessere psicologico ed emotivo del paziente – afferma Gabriella Pravettoni, direttore della divisione di psiconcologia all’Istituto Europeo di Oncologia e ordinario di psicologia delle decisioni all’Università Statale di Milano – Le condizioni psicologiche ed emotive hanno un ruolo nella diagnosi e nel decorso della malattia. L’essere ascoltati, seguiti e accuditi dai propri familiari favorisce l’auto-efficacia e riduce i livelli ansia e preoccupazione collegati alla malattia». È la conferma che nel percorso che segue la diagnosi l’assistenza psicologica è una delle prime necessità avvertita dalle donne. Di questo aspetto si era già parlato in passato, con l’obiettivo di prevenire l’insorgenza di condizioni quali la depressione e il disturbo post-traumatico da stress (Ptsd).

Conta la qualità delle relazioni

Non tutte le relazioni sociali sono risultate parimenti benefiche. I ricercatori hanno osservato che i progressi più significativi avevano riguardato le pazienti che erano riuscite a mantenere vivi i rapporti con familiari, coniugi o persone della stessa etnia. «La condivisione di uno stesso retroterra culturale può facilitare gli scambi comunicativi – prosegue la specialista, autrice del libro «Senza Paura», scritto con Umberto Veronesi -. Ma è vero anche che non è tanto importante da quanto tempo si conosce una persona, ma la qualità della relazione. La famiglia e il partner, quando sono presenti, favoriscono il benessere emotivo. Ma la malattia spesso provoca reazioni controverse nelle pazienti, le quali possono trovare nella famiglia supporto, ma non necessariamente un interlocutore sicuro sul quale riversare pensieri, preoccupazioni e speranze».

Il ruolo dei social network

Un conto è il rapporto diretto. Altro è quello filtrato dai nuovi mezzi di comunicazione: chat, email, social network. Secondo Pravettoni l’interazione mediata dalla tecnologia «può avere anche degli aspetti positivi», perché l’esistenza di una barriera fisica «accresce la frequenza dei contatti e può facilitare la condivisione di informazioni più intime». D’altra parte, però, in questo modo la solitudine rischia di rimanere sempre dietro l’angolo. Motivo per cui il consiglio è quello di ricorrere alla tecnologia quando «si è costretti a vivere in isolamento per un lungo periodo, a causa delle terapie. In questi casi la tecnologia può rappresentare un importante canale di comunicazione con il mondo esterno». Diversamente meglio prediligere il rapporto diretto con una persona vicina.

Come aiutare a uscire dall’isolamento

Subito dopo la diagnosi è anche normale che la donna possa prediligere l’assenza di rapporti sociali. La malattia è una tempesta che s’abbatte sul quel giardino fiorito che è stata fino a quel momento la vita e lo sconquasso è notevole. Motivo per cui è necessario «dare tempo alla persona perché possa elaborare i cambiamenti che questa provoca nella propria vita individuale, familiare e sociale», chiosa Pravettoni. È importante capire subito le ragioni alla base dell’eventuale isolamento, aiutare la donna a «comprendere quali siano i suoi reali bisogni di condivisione» e «promuovere una mobilitazione delle risorse che la paziente ha nel suo ambiente: figli, marito, genitori, amici, gruppi di aggregazione». Sia chiaro, però: le forzature rischiano di trasformarsi in un boomerang. Ogni paziente oncologico fa storia a sé e l’isolamento, in alcuni casi e per brevi periodi, può servire a raccogliere le forze per affrontare la malattia.

Fonte: fondazioneveronesi.it

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