La prima mammografia andrebbe sempre eseguita intorno ai 40 anni. Ogni anno in Italia sono circa 50mila i nuovi casi di cancro al seno: l’80% riguarda donne con più di 50 anni, ma l’incidenza nelle 30-40enni è in crescita ed è sempre bene ricordare che una diagnosi precoce salva la vita. Scoprire una neoplasia quando è di piccole dimensioni, senza metastasi, significa potersi curare con un intervento poco invasivo e avere grandi probabilità di guarigione completa, spesso anche senza chemio o radioterapia.
La mammografia non basta
Solitamente però la mammografia non è sufficiente. Molto spesso, infatti, nelle giovani donne la densità del tessuto mammario è tale da rendere questo esame non completamente affidabile. Questo perché nel seno denso c’è una minore quantità di tessuto adiposo e una maggiore di tessuto epiteliale e stromale (cioè delle parti che costituiscono lo «scheletro» della mammella) e la componente ghiandolare prevale su quella adiposa, cosicché i raggi X vengono bloccati e non permettono di identificare differenze di radiopacità, ovvero di densità del tessuto. E un tumore normalmente è più denso del tessuto circostante e quindi più radiopaco. Al contrario, quando la mammella è prevalentemente adiposa, come accade solitamente dopo la menopausa, il tessuto è «trasparente» ai raggi che passano senza difficoltà e possono così identificare anche una piccola radiopacità.
L’ecografia mammaria
Quindi per una corretta prevenzione, personalizzata in base al tipo di seno, sarebbe più prudente mostrare l’esito della prima mammografia a un senologo, per capire se e come sia necessario integrare questo esame. Di regola viene eseguita un’ecografia mammaria che, al contrario della mammografia, è molto efficente nella valutazione di mammelle ricche di ghiandola e povere di grasso e costituisce, quindi, un ottimo esame complementare, che tra l’altro non utilizza radiazioni ma solo ultrasuoni. La sensibilità dipende però molto dall’esperienza dell’operatore, per cui è meglio rivolgersi a centri con vasta esperienza.
La risonanza magnetica
Altro esame di secondo livello utile a completare il quadro, dopo mammografia ed ecografia, è la risonanza magnetica. Un’indagine più lunga e costosa che viene normalmente riservata a casi particolari: per dirimere dubbi, completare una diagnosi o nei controlli prescritti alle donne ad alto rischio genetico (che presentano cioè mutazioni nel Dna che le espongono a maggiori probabilità di ammalarsi).
La tomosintesi
Ritornando alla densità mammaria, diversi studi hanno evidenziato che questa condizione comporta anche un aumentato rischio di tumore, per cui in questi casi è doppiamente indicata l’integrazione almeno con l’ecografia. D’altro canto bisogna ricordare, per quanto riguarda la mammografia tradizionale, che oggi la sua sensibilità è aumentata grazie all’introduzione della tomosintesi, detta anche mammografia in 3D o tridimensionale. Con questa metodica, attraverso diverse proiezioni mammografiche, si riesce a visualizzare la mammella a strati, un po’ come con la Tac, in modo da identificare formazioni nodulari che possono sfuggire se proiettate su un unico piano.
I limiti dello screening mammografico
La densità della ghiandola mammaria è uno dei limiti dello screening mammografico offerto solitamente alle donne dai 50 ai 69 anni. La maggior parte delle donne in questa fascia di età è in menopausa e ha mammelle «trasparenti», quindi la mammografia funziona molto bene. Ve ne sono alcune, però, che hanno ancora la mammella densa, magari perché assumono una terapia ormonale sostitutiva o per costituzione individuale. Le donne in questione riceveranno una lettera in cui è scritto che la mammografia non evidenzia niente di sospetto, ma non si fa menzione del fatto che l’esame potrebbe essere poco significativo nell’individuare une lesione a causa della radiopacità. Per questo è sempre meglio seguire un percorso di prevenzione personalizzato, che affianchi ai controlli strumentali anche la visita con un esperto.
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Fonte: corriere.it
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