Prevenzione seno: dalla mammografia all’attività fisica

Grazie ai continui progressi delle conoscenze scientifiche, delle terapie disponibili e degli strumenti di screening, come la mammografia, il tasso di sopravvivenza delle donne a cinque anni dalla diagnosi di tumore del seno ha raggiunto mediamente l’87%. È molto, ma non ancora abbastanza: in Italia vengono ancora diagnosticati ogni anno circa 12.000 nuovi casi di carcinoma mammario metastatico e quasi 36.000 donne affrontano oggi questa patologia. Vediamo quali sono le conoscenze attuali in tema di prevenzione e diagnosi precoce.

Mammografia e screening

Lo screening del cancro della mammella è efficace nel ridurre la mortalità per il tumore del seno. Tuttavia, alcuni esperti discutono del rischio di sovradiagnosi, ovvero di identificare come cancerosa una lesione che non si sarebbe mai evoluta o manifestata con sintomi (perché sarebbe stata eliminata dall’organismo o avrebbe bloccato la propria evoluzione) se la persona non si fosse sottoposta all’esame.

Più benefici che rischi con la mammografia

A oggi non esiste uno strumento per capire se una lesione diventerà o meno un cancro invasivo e la maggior parte delle ricerche ritiene che il rischio di sovradiagnosi sia inferiore ai benefici che si ottengono con lo screening con mammografia eseguito secondo le linee guida, cioè nella fascia di età tra i 50 e i 69 anni. La decisione di sottoporsi a mammografia fuori da questa finestra temporale deve essere preceduta da un colloquio con un medico. L’ecografia non è raccomandata in generale come test di screening in sostituzione o in aggiunta alla mammografia, ma può essere utile in casi particolari, soprattutto nelle donne più giovani, o per approfondire la natura di un nodulo.

Seno fibrocistico

Il seno fibrocistico (o mastopatia fibrocistica) è una condizione di natura benigna del tessuto mammario che colpisce il 30-60% delle donne e almeno il 50% delle donne in età fertile. Alcuni studi indicano che la prevalenza nel corso della vita di seno fibrocistico può raggiungere addirittura il 70-90%. È caratterizzata dalla presenza di noduli, cisti e aree fibrose nel tessuto mammario, che a volte possono causare disagio o dolore. Nella maggior parte dei casi non è necessario alcun intervento, in quanto i disturbi tendono a ridursi se non addirittura a scomparire dopo la menopausa.

Carcinoma duttale in situ (DCIS)

Sebbene il nome ricordi i tumori più pericolosi, il carcinoma duttale in situ (noto con l’acronimo inglese DCIS) in realtà è una forma poco invasiva: le cellule cancerose, infatti, restano confinate nei dotti della mammella e quindi non danno quasi mai metastasi. Secondo molti esperti il DCIS dovrebbe essere più correttamente considerato una forma precancerosa, poiché ha tassi di guarigione che sfiorano il 100%. In presenza di DCIS è spesso indicata la semplice sorveglianza attiva, ma c’è anche chi tratta il carcinoma duttale in situ come una lesione pretumorale a tutti gli effetti, suggerendo l’asportazione della lesione.

Test genetici: chi, quando, perché

Nonostante la maggior parte dei tumori non abbia alcun legame con la trasmissione ereditaria, in alcuni casi si può parlare di cancro ereditario. Si tratta comunque di non più del 10% di tutti i tipi di tumore, e per identificarli sono stati messi a punto alcuni test in grado di valutare il rischio sulla base del corredo genetico. Nel caso del tumore del seno, i geni responsabili sono BRCA1 e BRCA2. Prima di fare un test per scoprire se si è portatori di questi geni, è necessario sottoporsi a un colloquio con un genetista medico che valuterà l’albero genealogico della persona prima di sottoporla eventualmente al test. È importante sottolineare che essere portatori di uno di questi geni non significa avere la certezza di sviluppare in futuro un tumore mammario: in base al risultato, l’oncologo consiglierà eventualmente una maggior frequenza di controlli.

Familiarità: quando preoccuparsi?

Con il termine ereditarietà si fa riferimento a mutazioni che riguardano un gene collegato con l’insorgenza di una patologia e sono trasmesse dai genitori ai figli. Quando si parla di familiarità si intende la presenza, nei propri consanguinei, di più casi di una certa malattia, non necessariamente ricollegabili a un singolo gene. Il rischio di tumore della mammella aumenta di una volta e mezza nelle donne che hanno una storia familiare di tumore del colon-retto. E ancora, se una parente stretta ha avuto diagnosi di tumore del seno, i membri di sesso femminile della famiglia hanno un rischio di tumore delle ovaie più che duplicato. Perché si possa parlare di vera familiarità, però, sono necessari almeno due casi di parenti diretti (madri o sorelle) affetti.

Attività fisica

Sono decine gli studi che evidenziano la relazione tra cancro del seno e attività fisica: nella maggior parte dei casi indicano che le donne attive sono meno a rischio di quelle sedentarie, ma la riduzione del rischio varia moltissimo da studio a studio (dal 20 fino all’80%) perciò al momento non esiste una stima univoca. Se praticata fin dall’adolescenza, l’attività sportiva intensa sembra fornire la massima protezione. Secondo gli esperti ciò avviene perché si abbassano i livelli degli ormoni femminili e del fattore di crescita insulino simile (IGF1), che hanno un ruolo importante nello sviluppo del cancro del seno.

Alimentazione

Se il problema della maggior parte dei pazienti oncologici in relazione all’alimentazione è la perdita di peso, dovuta anche alla mancanza di appetito, le donne operate al seno e in terapia adiuvante tendono invece a ingrassare. Questo fenomeno, oltre a condizionare negativamente il tono dell’umore, potrebbe peggiorare la prognosi, incidendo sul metabolismo dell’insulina e aumentando così il rischio di metastasi. Una sana alimentazione, ricca di vegetali e fibre e povera di proteine animali e zuccheri, può quindi aiutare a limitare il rischio di recidive.

Allattamento e gravidanza

Allattare al seno è una strategia di prevenzione che porta benefici non solo al bambino, ma anche alla madre, poiché esercita un blocco sulla produzione degli ormoni femminili, diminuendo così del 5% circa il rischio di sviluppare un cancro del seno. E c’è di più: allattare dimezza il rischio in chi è geneticamente sensibile al tumore al seno. Infatti, in donne con mutazione di gene BRCA1 si è osservata una riduzione del rischio pari al 45% tra chi ha allattato; tra le donne con sola familiarità, la riduzione arriva fino al 59%.

Fonte: airc.it

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